Nuove linee di gestione del Parco di Veio

foto di Hans Gelderman, terzo premio al concorso fotografico Parco di Veio (2000)

Il Parco di Veio, dopo una lunga “gestione commissariale”, dal maggio scorso ha un nuovo Presidente e un nuovo consiglio Direttivo, che sono gli organi di indirizzo amministrativo.

Fin da questi primi mesi è apparso chiaro che il Parco di Veio ha necessità di potenziare la sua azione nei confronti delle popolazioni locali, incentivando le produzioni agricole di qualità, le attività sportive e del tempo libero e in generale ogni attività, anche economica, purché sia compatibile con la tutela della biodiversità e con le caratteristiche dell’area protetta. Si è quindi provveduto a varare un vasto progetto di costruzione di infrastrutture interne al Parco, che comprenderanno il recupero dei sentieri in disuso in qualità di ippovie e piste ciclabili, la istituzione delle porte di accesso al Parco (collegate con le stazioni delle ferrovie esistenti), il recupero delle vie d’acqua, dei fontanili e delle antiche mole. Parallelamente si sono volute incrementare tutte le attività che fanno riferimento ala civiltà etrusca, ottenendo i relativi finanziamenti, e dando impulso alla sistemazione dell’area archeologica della “Città di Veio”, già intrapresa dal ministero dei Beni Culturali. Lo sforzo di tutto il Consiglio è volto a fare in modo che il Parco venga percepito da chi lo abita come una importante opportunità, sia in termini di accesso ai finanziamenti regionali ed europei, sia in termini di supporto alle iniziative qualificanti, sia in termini di immagine del territorio.
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Una politica per il Parco di Veio

Convegno Legambiente: I Parchi Regionali

(Roma 25/9/2007)

intervento di Enrico Pane – Vicepresidente del Parco di Veio

Introduzione

Il Parco di Veio fu istituito alla fine del 1997 dalla Regione Lazio su un’area di circa 15.000 ettari, nel quadrante Nord della corona urbana romana. I confine del Parco è compreso tra la Via Cassia e la Via Flaminia, segue grosso modo le due consolari e quindi ha un andamento triangolare. Il vertice sud arriva di poco all’interno del Raccordo anulare, mentre il lato nord può essere identificato con la strada provinciale Campagnanese, che unisce trasversalmente la Cassia e la Flaminia a circa 25 km dal Raccordo anulare. Oltre la Campagnanese il Parco comprende l’area della Macchia di Roncigliano, limitrofa alla riserva naturale della Valle del Treia e al Parco di Bracciano Martignano.

Anche solo da questa sommaria descrizione si può intuire che il Parco di Veio fa strutturalmente parte di un “sistema” di biodiversità che da nord giunge, senza interrompersi, all’interno del tessuto urbano metropolitano.

E proprio il rapporto tra il Parco e Roma rappresenta a mio parere la chiave di lettura più efficace sia della istituzione del Parco e quindi del suo passato che della sua evoluzione futura.

Va infatti subito rilevato che su 15.000 ha quasi la metà (7.000) stanno in Comune di Roma. Gli altri comuni sono: Sacrofano 2400 ha, Formello 2200, Castelnuovo di Porto 1000, Campagnano 800, Magliano 500, Mazzano 500, Morlupo 270, Riano 130. A parte Roma, si tratta di Comuni a vocazione rurale, o meglio con una struttura economica ancora rurale, maggiormente evidente a mano a mano che ci si allontana da Roma. L’espansione urbana legata alla Capitale ha logicamente trasformato Formello molto di più di Magliano (…), ma in una visione di insieme dei territori compresi nel perimetro del Parco di Veio possiamo senza dubbio affermare che essi comprendono una parte nord culturalmente ed economicamente rurale, e una parte sud fortemente antropizzata e con caratteri sociali ed economici “metropolitani”.

Contrariamente a quanto molti cittadini suppongono, l’Ente Regionale Parco di Veio non possiede territori all’interno del Parco, che è per la gran parte di proprietà privata (oltre il 75%), e per la rimanente parte* di proprietà pubblica. Va sottolineato che questa parte pubblica è amministrata oltre che dai Comuni, in buona parte dalle Comunità Agrarie, che sono Enti Pubblici Territoriali, originate dal coacervo dei diritti di pascolo e dalla evoluzione della proprietà fondiaria nel corso degli ultimi secoli. I Sindaci di Comuni (9) costituiscono la “Comunità del Parco di Veio”, che è parte della struttura amministrativa dell’Ente. In particolare la Comunità deve approvare il Bilancio, essere consultata sulle decisioni più importanti, e indicare tre dei sei membri del Consiglio Direttivo dell’Ente. Oltre che di un Consiglio Direttivo, che ha i compiti di indirizzo e controllo, la struttura direttiva del Parco si compone di un Presidente, nominato dalla Regione, e di un Direttore, nominato dalla Regione su proposta del Presidente e del Consiglio Direttivo.

Come si vede il Parco – Ente strumentale della Regione Lazio – ha una struttura gestionale piuttosto complessa, che probabilmente andrebbe rivista e resa più agile.

Presso il Parco di Veio lavorano circa 40 dipendenti regionali, dei quali 15 sono “Guardiaparco”.

La struttura economica del Parco di Veio è piuttosto semplice: la Regione trasferisce ogni anno al Parco circa 500.000 Euro (un po’ meno negli ultimi anni) con i quali l’Ente si mantiene ed attua le sue attività. L’unica cosa non compresa in questo finanziamento sono gli stipendi dei dipendenti, che vengono pagati a parte dalla Regione. L’Ente – sotto il controllo regionale – ha autonomia amministrativa, nel senso che può acquistare e vendere proprietà, introitare e spendere somme eccetera.

A partire dalla sua istituzione del 1997, il Parco di Veio ha avuto una prima fase di impostazione, fino al 2004 con la presidenza Moretti, seguita da una fase transitoria con un CD molto breve e poi un paio d’anni di commissariamento straordinario fino al 2007; da maggio di quest’anno il Parco ha un nuovo CD e un nuovo Presidente che è Fernando Petrivelli. Per un quadro completo della storia gestionale del Parco va detto che il direttore, fin dalla istituzione è stato Roberto Sinibaldi, e che solo da circa un mese gli è subentrato Salvatore Codispoti.

Quindi attualmente il Parco di Veio si trova all’inizio di una nuova fase, con un tutti i suoi organi direttivi e gestionali appena insediati.

Una politica per il Parco

In questa sede vorrei schematizzare gli obbiettivi gestionali del Parco nel modo più essenziale possibile. Ci sono due obbiettivi di importanza strutturale: 1) il reperimento della nuova sede; 2) l’adozione del Piano di assetto del Parco. C’è poi un obbiettivo generale che possiamo definire “consolidamento della identità del Parco” dove possiamo fare confluire tutto quanto attiene alla direzione che il Parco deve avere nella gestione di ogni anno e di ogni mese, insomma nella sua vita quotidiana. In questo “consolidamento della identità” possiamo fare rientrare attività di studio, ricerche, visite guidate, programmi di promozione economica e sociale e nelle scuole, nulla osta edilizi, controllo della flora e della fauna ecc. attività che negli anni scorsi sono state create e portate avanti molto bene, e che il CD, nel preventivo di bilancio 2008, ha confermato, in più incrementando la attività negli istituti scolastici. Come nuovo CD abbiamo dato indicazione di priorità e finanziato in bilancio 2008 le infrastrutture del Parco, che sono tuttora carenti, ovvero tutto ciò che attiene alla concreta vita e fuizione dell’Area protetta: il sistema antincendio prima di tutto e poi gli accessi, le piste ciclabili, i fontanili, i vecchi percorsi come la via francigena ecc. Tra queste che chiamiamo genericamente “infrastrutture” ci sono due progetti che hanno una straordinaria rilevanza: la sistemazione dell’area archeologica di Veio, in atto da parte di una commissione ministeriale istituita dal Vicepresidente Rutelli, della quale facciamo parte, e che farà del sito della antica Veio (a Isola Farnese) un museo all’aperto attrezzato di importanza mondiale, (è in programma che il sito sia gestito poi da una apposita struttura interna all’Ente Parco); il collegamento del Parco di Veio con il Centro Storico di Roma mediante la linea ferroviaria Roma Viterbo, che corre lungo la Via Flaminia, che coincide con il confine del Parco, e che arriva a Piazzale Flaminio (Piazza del Popolo). Ovvero noi speriamo che quanto prima si possa andare in bicicletta dal Palatino a Monte Gentile al centro del Parco di Veio, semplicemente caricando la bici sul treno e scendendo alle stazioni Flaminie esistenti che diverrebbero le “Porte di Accesso” al Parco, e  nelle quali vorremmo creare punti informativi e di servizio.

Ora passo brevemente nello specifico dei due obbiettivi diciamo così di portata irreversibile, la sede definitiva dell’Ente, e il Piano di assetto.

Il reperimento della sede definitiva del Parco è un fatto non solo logistico, ma di valenza politica e culturale, destinato a dare identità alla struttura per i prossimi decenni. Attualmente il Parco sta a Campagnano, in una sede provvisoria piuttosto stretta, dislocata su tre immobili. Per intuire l’importanza della scelta della sede, si pensi alla differenza nel dire, un giorno “La sede del Parco di Veio sta a Roma” oppure “La sede del Parco sta a Magliano Romano”. In questo senso, con l’accordo della Comunità, e in particolare grazie al suo Presidente, l’Assessore all’Ambiente del Comune di Roma Dario Esposito, il Consiglio Direttivo ha determinato di reperire la sede nei comuni diciamo “rurali” del Parco, e in questo senso sta lavorando una apposita Commissione che comprende il sottoscritto.

Il Piano di Assetto del Parco di Veio è lo strumento paesaggistico – urbanistico che va a conferire al Parco la sua autonomia e il suo indirizzo di gestione territoriale. Oggi da un punto di vista di cogenza il Piano di assetto di Veio ha assunto una straordinaria importanza, a causa degli avvenimenti urbanistici che si sono succeduti dalla istituzione del Parco in poi. Mi riferisco al nuovo Piano Regolatore di Roma, comune nel quale il Piano di Assetto va ad inserirsi per oltre 7.000 ha, e al PTPR di recentissima adozione, che dà delle prescrizioni di tutela obbligatorie e finalmente coordinate. Sul lavoro necessario a redigere il Piano di Assetto andranno a catalizzarsi anche quelle che possiamo considerare – o meglio che io considero – “illogicità originarie” del perimetro del Parco, che sono essenzialmente due: la sostanziale differenza da considerare tra la zona urbana e la zona rurale, e la perimetrazione a macchia di leopardo, secondo il criterio datato e ormai superato di escludere dall’assetto generale le zone maggiormente antropizzate, quasi che un’area fuori – perimetro, ma all’interno di un Parco che la circonda non abbia relazione viaria, infrastrutturale, sociale, economica e così via con il Parco stesso che le sta intorno per ettari ed ettari.

Naturalmente a questa impostazione errata in quanto portatrice di una antinomia urbanistica tra zone dentro e zone fuori dal Parco sono andate adeguandosi le politiche territoriali (ancora a volte poco evolute) di alcuni Comuni dell’area,  cosicchè oggi abbiamo richieste ufficiali da parte dei Comuni (seppure fuori procedura, perché l’adozione del Piano di Assetto non è mai avvenuta), di circa 4.500 ha di scorporamento a fronte di 15.000 ha di superficie compresa nel perimetro.

Va detto per chiarezza che il Piano di assetto del Parco di Veio, seppure tra alterne vicende, va considerato in avanzata fase di elaborazione: un gruppo di lavoro, coordinato da Vezio De Lucia, ha prodotto negli anni scorsi un lavoro che a mio modesto parere è molto valido e ben impostato; il lavoro è di proprietà del Parco ed è patrimonio progettuale dell’Ente. Questo lavoro è stato prodotto negli anni passati, a causa di una serie di vicende sulle quali non voglio dilungarmi non è stato adottato, ed il rapporto professionale con il gruppo De Lucia fu risolto consensualmente. Oggi, soprattutto a causa del tempo che è passato dalla elaborazione di questo lavoro, è necessario rivederlo in quanto sia la normativa, sia l’analisi dello stato di fatto, soprattutto nel territorio del Comune di Roma, non sono più attuali e non sono più proponibili. Il Consiglio Direttivo appena insediato, che è l’organo che deve adottare il Piano, sta lavorando a mettere in atto la procedura più opportuna per arrivare alla revisione e aggiornamento del lavoro già fatto, e successiva adozione nel più breve tempo possibile.

C’è da aggiungere in proposito una considerazione decisiva, che è diretta conseguenza delle “illogicità originarie del perimetro” cui accennavo prima: la vicinanza di Roma ed i suoi conseguenti alti valori immobiliari, ed il conseguente altissimo plus – valore ottenibile dalla trasformazione dei suoli agricoli in edificabili, crea di per sé una logica di pressione da parte dei cosiddetti “poteri forti” immobiliari, ed anche dei “poteri deboli”, ovvero dei comuni cittadini, nel senso che chiunque, nella logica sopra descritta della vecchia pianificazione, quando si traccia una riga per terra e di qua si costruisce e di là si tutela, chiunque, nessuno di noi escluso io credo, spererebbe, solleciterebbe, chiederebbe di tenere fuori dal Parco il suo uliveto che ha ereditato dal nonno.

A questo si aggiunge – nelle comunità che all’inizio ho definito “rurali” – un recente passato di povertà ed ignoranza che non va sottaciuto. Ed anzi voglio aggiungere, seppure di passaggio, che la povertà e l’ignoranza nello stato Pontificio di tanti secoli passati ha creato una cultura locale fiera per tanti versi, ma strutturalmente subalterna, cosicchè oggi nel quadrante di Roma nord le famiglie locali che detengono le proprietà dei terreni vedono nella edilizia dei “romani” la manna tanto attesa e il riscatto socio – culturale desiderato. Ovvero, sulle aree rurali della “corona metropolitana”, esistono punti di vista, intendimenti e programmi di sviluppo che sono profondamente lontani tra loro, e possono arrivare ad essere diametralmente e anzi vorrei dire “drammaticamente” opposti.

In questa sorta di unità di intenti tra “poteri forti della speculazione edilizia” e “gente comune delle zone rurali”, congiunto alla logica di perimetrazione originaria (che io chiamo “della grande muraglia”), va da sé che redigere e portare a compimento il Piano di Assetto del Parco comporta  la necessità di un assetto gestionale – amministrativo del Parco saldo e coeso. Che è l’obbiettivo già raggiunto in questi primi mesi, in quanto oggi il Parco di Veio può oggi contare su un CD compatto, che agisce in pieno accordo e condivisione, contrariamente a quanto accadeva in passato, come alcuni sanno.

IL CD sta proprio in queste settimane maturando le indicazioni fondamentali per il Piano di Assetto e la politica conseguente. La mia personale opinione è che dovrà essere rispettata la procedura di adozione, senza le irritualità che sono accadute in passato. Va poi superato il concetto di “grande muraglia”, da un lato confermando l’importanza delle aree adiacenti fuori perimetro, già individuate nel Piano De Lucia, dall’altro cercando di ricucire un tessuto che oggi è a “macchia di leopardo”, comprendendo nel Parco le zone antropizzate e i Centri Storici ovviamente opportunamente normati. Va aggiornata la analisi della situazione esistente, soprattutto in Comune di Roma, ma anche nelle altre zone di “maggiore tensione abitativa”.

L’intendimento è chiudere la porta, lo dico senza perifrasi, alle ville residenziali camuffate, alle furbizie speculative, alle imprese fintamente ambientaliste, eccetera. Viceversa si dovranno permettere ed incentivare le attività realmente biologicamente compatibili cercando, come dicevo prima, di capovolgere la percezione negativa che le popolazioni autoctone della zona rurale hanno della istituzione del Parco e fare diventare la possibile inclusione dentro al perimetro del Parco di Veio, piuttosto che una disdetta, un ambito traguardo.

Conclusione

Capovolgere l’attuale rapporto tra il Parco e il suo territorio, è in sintesi l’obbiettivo che comprende tutti gli altri, e per questo è l’aspetto del mio mandato amministrativo al quale tengo di più. Anche perché, in prospettiva ampia, riguarda la evoluzione della cultura ambientalista, e la sua emancipazione definitiva dai ristretti ambiti iniziali, a patrimonio di fondo di tutti gli strati della popolazione e di tutte le discipline.  L’ambientalismo va insomma portato in ogni cosa che si fa, e non è solo un capitolo del libro mastro generale, ma la carta stessa sulla quale tutti quanti scriviamo quel libro.

Il giorno che mi accorgerò che i Morlupesi, o i Maglianesi, con le loro terre, ambiscono ad entrare nel Parco di Veio, perché se stanno dentro lavorano meglio, guadagnano di più, hanno più aiuti, infrastrutture, e fanno prodotti agricoli migliori, quel giorno avrò la consapevolezza di avere fatto un buon lavoro.


Dati sulla proprietà dei suoli (Piano di Assetto – Relazione Par. 3.7.4):

Università agrarie = 1.165 ha; Comuni = 2.240 ha;  Altri (Demanio, Istituto cerealic.) = 335 ha.

Totali:  proprietà pubbliche circa ha 3.400 (22,6%) ; prop. private circa ha 11.600 (77,4%)

Depuratori sotto sequestro: tutta la Minoranza chiede apposito Consiglio Comunale

Dopo una indagine durata anni la Procura della Repubblica ha disposto il sequestro di due dei cinque depuratori di Castelnuovo di Porto, precisamente quello di “Vallelinda” e quello di “Colleverde”. Secondo l’ordinanza i depuratori non depurano, ma inquinano. Di conseguenza i depuratori sono stati in sostanza chiusi, ovvero viene impedito che dagli stessi fuoriesca l’acqua, che dovrebbe essere depurata e invece è risultata inquinante.

I depuratori sono in sostanza delle grandi vasche circolari che ricevono i liquami fognari i quali, attraverso un sistema di filtri, tornano nell’ambiente sotto forma di “acqua”, ovvero “depurati” delle sostanze tossiche o nocive o inquinanti. Dopo il depuratore, l’acqua pulita che ne fuoriesce può andare nei corsi d’acqua e poi nel Tevere. La “robaccia” resta nei filtri che stanno dentro il depuratore e che periodicamente vanno puliti. Va da sé che se dal depuratore non esce acqua depurata, ma liquami si determina un inquinamento ambientale. Che è appunto il motivo dei recenti sequestri.
Che si fa se il depuratore viene chiuso? Semplice, bisogna portare via i liquami manualmente o quasi, dato che la vita continua e non si possono certo chiudere i bagni e gli scarichi delle abitazioni delle famiglie che sono allacciate al sistema. Perciò dal 5 settembre una teoria ininterrotta di camion autobotti cariche di liquami fa la spola tra i depuratori sequestrati e un luogo adatto al loro scarico, ovvero un depuratore funzionante. Vanno avanti e indietro e svuotano continuamente i depuratori chiusi e sequestrati, ai quali continuano ad affluire liquami di fognatura, perché – come detto – la vita continua con le nostre normali docce, le lavatrici che scaricano e gli sciacquoni quotidianamente azionati.

Questo fino a quando i depuratori non funzioneranno.

Il problema di questa operazione (a parte tutto il resto) è il costo delle autobotti, che ammonta ad alcune decine di migliaia di euro al giorno, che moltiplicato per i giorni di andirivieni e per 2 depuratori, si fa presto a far conti in milioni di euro. E chi paga? Chi ha sbagliato, ovviamente, ma non è così semplice da individuare. Perché tutto il sistema è passato alla ACEA ATO 2 circa un anno fa, ed attualmente la responsabilità è di questa società. Prima era del Comune. E ad oggi non si sa esattamente a quale periodo si riferiscano le analisi e le irregolarità rilevate.
Sta di fatto che esiste il concreto pericolo che alla fine sia sempre “Pantalone” a pagare, ovvero i cittadini sottoforma di “casse comunali” oppure sottoforma di “contribuenti ACEA”. Staremo a vedere. Nel frattempo è molto evidente, nelle conversazioni informali, la linea di difesa presa coralmente dalla Amministrazione Lucchese, che è quella di assoluta mancanza di responsabilità, e di critica all’operato della Magistratura. Ma questo è un copione già visto e troppo replicato per essere credibile senza approfondimenti. Sulla salute pubblica non si può buttarla in dialettica, occorre essere molto seri.

La Minoranza ha chiesto la convocazione urgentissima del Consiglio Comunale sull’argomento, al fine di informare con chiarezza la cittadinanza ed affrontare l’emergenza nella sede corretta. Lo abbiamo chiesto subito a voce e per iscritto, e pensiamo sia dovuto a tutti i Castelnovesi (ma la Giunta non sembra avere fretta…).

Senza trascurare un’altra grave emergenza, che anche abbiamo chiesto di affrontare nel Consiglio urgentissimo: gli edifici scolastici e gli scuolabus. In questi giorni infatti per i bambini e i ragazzi castelnovesi inizia un’altra fantastica, inconcepibile stagione da terzo mondo.

Nerosubianco intervista 2007

Lintervista che segue – di Nicola Acquaviva – è stata pubblicata su Nerosubianco di luglio 2007

 

Qualche numero fa abbiamo lanciato una rubrica su quello che pensano i rappresentanti politici di maggioranza o minoranza dei paesi a nord di Roma.

Proseguiamo questa strada intervistando il consigliere di minoranza del Comune di Castelnuovo di Porto, Enrico Pane, rappresentante di una Lista civica che già nello scorso articolo si è definita di centro-sinistra.

Chi è il Consigliere Comunale Enrico Pane?

E’ uno degli “immigrati” da Roma a Castelnuovo di Porto, esattamente nel 2001.

Quali sono i suoi rapporti con gli altri Gruppi di Opposizione ?

All’Opposizione siamo in 5, ci sono due gruppi e un singolo che sono io. I rapporti sono abbastanza buoni, riusciamo a essere concordi sulla politica territoriale. Certo col gruppo di centro – destra, ci sono divergenze culturali e politiche profonde.

Consigliere Pane, in quale area politica, a livello nazionale, si colloca oggi, visti i cambiamenti che stanno avvenendo, sia nel centro sinistra che nel centro destra?

Sono sempre stato di sinistra, anche se mai iscritto a nessun partito fino al 2003, quando ho aderito alla Margherita, fondando il Circolo “Castelnuovo di Porto”. E anche questa scelta è avvenuta più con motivazioni locali, che per reale differenza di vedute col resto della sinistra nazionale. Ora ci sarà finalmente il Partito Democratico.

Lei nel Consiglio Comunale di Castelnuovo di Porto si trova tra i banchi della minoranza, come concilia la sua posizione di opposizione ad una maggioranza che in gran parte fa riferimento alla sua stessa compagine politica?

Sono totalmente in disaccordo con Lucchese, e non da oggi. In particolare la sua politica territoriale non ha nulla della cultura di centro – sinistra. E’ un problema di quelli di sinistra che stanno con Lucchese, non mio. Io so bene quale è la politica territoriale avanzata da fare, e cerco di praticarla. Loro la delega all’urbanistica l’hanno data al centro destra più conservatore. Le scelte concrete ci qualificano, non le etichette politiche.

Per la sua attività politica a quali attività della vita privata e professionale ha dovuto rinunciare ?

A nessuna, il mio lavoro è l’architettura e la pianificazione territoriale, e continuo a farlo, anche se per mia scelta non lavoro nel territorio dove sono Amministratore pubblico. Diciamo che per fare il Consigliere comunale sottraggo un po’ di tempo al lavoro e un po’ alla famiglia. Ma è un fatto temporaneo e sto imparando molte cose.

Come ha maturato e perché questa scelta di vita?

Per uno che fa il mio lavoro viene quasi naturale candidarsi a decidere in prima persona quello che va fatto per il miglioramento del territorio. Prima di me tantissimi colleghi, anche illustri, hanno avuto una esperienza amministrativa. La capacità di gestire e organizzare il territorio è forse la cosa più importante per un amministratore locale. Va detto che non sempre sono esperienze di lunga durata, perchè o gli elettori condividono quello che vuoi fare, e ti votano, oppure te ne torni al tuo lavoro e basta. Non c’è nessuna voglia di fare il politico a tutti i costi.

Quale è il suo pensiero sulle innovazioni tecnologiche, adottate od in fase di adozione da parte dell’amministrazione, riguardanti l’informazione delle attività comunali, servizi volti al miglioramento della qualità della vita, ecologia e sostenibilità?

Penso che la tecnologia sia indispensabile, purchè sia un mezzo e non un fine. Nelle specifiche materie citate il lavoro della Amministrazione è stato positivo, basta dire di  Agenda 21 o dell’informatizzazione degli uffici. Ma non sono cose sostanziali dal mio punto di vista. La qualità del territorio viene prima di tutto.

Qual è la sua posizione nei confronti delle scelte adottate dall’Amministrazione ed in particolare, urbanistiche, e sulla variante di P.R.G. (Piano Regolatore Generale)?

Magari l’Amministrazione Lucchese avesse fatto delle scelte! Adottare un Piano sbagliato non è una scelta, è una perdita di tempo, e infatti sono 3 anni e mezzo che Castelnuovo aspetta, e il Piano neppure è stato mandato alla Regione per sapere se è giusto o sbagliato. A me sembra una cosa gravissima, francamente. La gente aspetta, e loro dormono. Non mi aspettavo un tale basso livello della politica castelnovese. Sto imparando anche questo. Che nei piccoli centri non è facile trovare bravi amministratori pubblici.

S. Antonino e il Palio della Stella

Il Palio della stella a Sacrofano - Foto di Massimo D'Adamo tratta dal calendario del Parco di Veio edizione 2008

Partivano da Castelnuovo in processione, possiamo immaginare, col Parroco, il Sindaco, i Carabinieri, attraversavano la Flaminia, imboccavano quella che oggi è Via Aldo Moro, e piano piano scendevano nella valle e attraversavano il “Fosso di S. Antonino”; poi risalivano sull’altipiano e arrivavano alla chiesetta e all’eremo. Saranno stati un paio di chilometri che ogni anno tutti i Castelnovesi percorrevano in processione per devozione verso S. Antonino di Apamea, martire dell’impero romano. Nella stessa giornata sull’altipiano si correva il “Palio della Stella”, con cavalieri e pubblico che arrivavano da tutti i paesi intorno.

Questo è quello che sappiamo oggi, frutto di testimonianze neppure dirette, ma di ricordi di nipoti, oggi anziani, che riferiscono i racconti dei nonni. Parliamo dei primi decenni del secolo scorso, infatti, e non c’è nessun documento di un evento che doveva essere di grande importanza per Castelnuovo e per tutto il circondario, e che aveva per scenario quella parte del paese, la campagna, che molti evocano, e che pochissimi considerano per davvero.

Eppure fino a poco tempo fa la campagna era tutto. Roma era lontanissima, c’era una sola strada, la Flaminia, niente treno, e coltivare ed allevare bestiame era l’unica risorsa disponibile. Le terre ad ovest della Flaminia, oggi interne al Parco di Veio, con i loro valloni, le alture, i ruscelli, si prestavano egregiamente ad essere coltivate a mano, e si sarebbero invece rivelate inadatte alla industrializzazione agricola fatta con le macchine, che necessitava di grandi estensioni pianeggianti.

Il Monte S. Antonino aveva fin da tempi remotissimi, forse medievali, nel suo punto più alto una chiesetta minuscola (3 metri x 10) dedicata allo stesso Santo, con accanto un’altra costruzione che serviva da “eremo”, con 5 piccole “celle” in non più di 100 metri quadri. Il Monte, di forma allungata, è situato parallelo alla Via Flaminia, e va grosso modo dall’altezza della Stazione ferroviaria all’odierno laghetto di pesca sportiva. Dall’altipiano si gode una vista a 360 gradi di tutte le terre intorno, fino a Roma, alla sua periferia e al Cupolone che spicca in lontananza. Oggi della chiesetta di S. Antonino e dell’eremo non c’è quasi più nulla. Qualche sasso (vedi foto) fa ancora indovinare la posizione della costruzione, anche se sotto le erbacce dovrebbe esserci ancora la pavimentazione di mattoni descritta dai brevi studi sull’argomento.

Il Palio della Stella è invece sopravvissuto, seppure trasferito in paese, ma quest’ultimo anno non si è potuto tenere perché l’asfalto danneggia i garretti dei cavalli, se non vengono adeguatamente ferrati. Nei paesi vicini il Palio è tuttora una  festa popolare. In particolare a Sacrofano il Palio si corre “in costume” tradizionale ed è una delle più importanti manifestazioni di tutto il “territorio di Roma nord”. Ma ogni paese, da Morlupo a Campagnano, a Formello, ha il suo Palio annuale.

A Castelnuovo di Porto per fare le cose come si deve andrebbe ricostruita la chiesetta, rifatta la processione e corso il Palio nel suo teatro originale. Potrebbe essere un modo per ritrovare qualcosa del vecchio paese che esiste, ma non si vede, perchè è finita sotto le erbacce, come il pavimento della chiesetta di S. Antonino. Parroco, Sindaco e Carabinieri ce li abbiamo, di mattoni e muratori ne avanzano, cavalli e cavalieri certamente arriverebbero al galoppo.

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La leggenda del Palio della Stella  (clic qui) 

Foto del bestiame sul Monte S. Antonino (clic qui)

Foto dell’altipiano del monte S. antonino (clic qui)

Foto dei sassi superstiti della Chiesetta (clic foto1 foto2foto3)

Limitare i danni

Chi non ha mai desiderato avere una bacchetta magica capace di trasformare ogni cosa secondo i suoi desideri? Uno, due, tre, e la vecchia utilitaria diventa una berlina nuova nuova, ticchete toc, e il frigo si riempie di ogni ben di dio.

Naturalmente nessuno crede alle bacchette magiche, ma tuttavia la dimensione del sogno, il desiderio di realizzare qualcosa, è una importante spinta a mettere in atto le procedure necessarie, ad affrontare il lavoro indispensabile per (forse) un giorno ottenere quello che desideriamo.

Più o meno questo è il meccanismo che sta alla base di ogni Piano Regolatore. Si sognano degli obbiettivi, si suppone cosa si vuole fare di un paese e di un territorio, e poi si comincia a lavorare sulla concreta realizzabilità delle cose. Eventualmente si modificano gli obbiettivi per renderli concreti ed effettivamente raggiungibili. Ma non ci si ferma mai ai soli desideri, come fece il Piano di Castelnuovo di Porto nel 2003.

Quando tre anni e mezzo fa la Giunta Lucchese adottò la Variante Generale al Piano Regolatore, ovvero un nuovo assetto del territorio Castelnovese da qui a 10, 20 anni, a molti fu subito chiaro che si trattava del libro dei sogni. La Variante conteneva una previsione di sviluppo edilizio del tutto abnorme – ed oltretutto non permessa dalle normative regionali – con una quantità di superfici per servizi (uffici e commercio) che nessun paese avrebbe potuto sostenere come costi e come infrastrutture. In più la Variante dimenticava completamente le aree agricole, e quelle industriali le prevedeva nel letto del Tevere, dove erano previste anche prima, e dove non si erano mai potute fare per il veto inderogabile dell’Autorità di Bacino.

Allora (2003) c’era un’altra Opposizione alla Giunta Lucchese, che doverosamente si oppose, ma il Piano passò col voto compatto della Maggioranza. Quando nel 2004 cambiò l’Opposizione, in Consiglio Comunale iniziò una battaglia lunga e articolata proprio sul Piano Regolatore, che vide tutti e cinque i componenti della nuova Minoranza, seppure diversi politicamente, argomentare compattamente ed anzi all’unisono per evitare al paese la perdita di tempo, l’attesa lunghissima destinata a sfociare nel nulla, perché il Piano era matematico che non potesse funzionare.

La battaglia culminò circa un anno fa, nel 2006, con la mano tesa della Minoranza, e con la proposta, per il bene di tutti, di annullare quella adozione del Piano 2003, e di rifare subito un altro Piano in pochi mesi, approfittando di una particolare normativa Regionale, facendo salvi in qualche modo i cittadini privati e le famiglie. Lucchese e i suoi rifiutarono anche questa proposta. Continuarono a sostenere che tutto andava bene, contro ogni evidenza e contro ogni logica. Vollero politicizzare la questione, e in sostanza dissero: “Il Piano è nostro e lo gestiamo noi. L’Opposizione stia al suo posto.” Non vollero accettare la possibilità di fare uscire il paese da una crisi gravissima; in altre parole ragioni “politiche” prevalsero su ogni altra considerazione. Perché in fondo cosa rischiavano? Solo di perdere tempo, e nell’attesa avrebbero continuato a governare.

Ma invece ecco che quest’anno 2007 succede l’imponderabile. Si scopre (tra l’altro da un articolo su “Il Nuovo”) che l’adozione del Piano, ovvero la semplice promessa di ciò che accadrà, non è senza risvolto fiscale, e che in sostanza le promesse di edificabilità dei suoli per il Fisco valgono come se fossero concrete. In termini pratici i terreni destinati ad essere costruiti, oggi non possono essere costruiti (perché il Piano è solo adottato e non approvato dalla Regione), ma fin dal 2003 devono pagare ICI e altre tasse come se fossero già edificabili. Questa è la norma nazionale. Che in una situazione come Castelnuovo assume i connotati di una ingiustizia a carico degli innocenti. Per tanti motivi. Prima di tutto perché la tassa appare discutibile, niente affatto lieve e con 3 anni di arretrato. Secondo poi perché va a carico di cittadini e famiglie. Terzo perché deriva da un Piano sbagliato, fatto perdippiù sapendo di sbagliare.

Insomma la “leggerezza” della nostra Amministrazione, la politica del “sogno”, la pretesa un po’ infantile di avere la bacchetta magica, di governare con le promesse, la vanno a pagare – concretamente – i cittadini Castelnovesi. Proprio quelli che hanno creduto, e dato un plebiscito di voti, a chi prometteva la luna.

Questa è la situazione oggi: come procedura il Piano è fermo esattamente a tre anni e mezzo fa nei cassetti del Comune; in più stanno per partire gli avvisi ICI obbligatori, per un importo globale non inferiore al milione di Euro, riferiti agli ultimi tre anni.

A questo punto c’è una sola cosa da fare: un atto di umiltà politica da parte della Maggioranza, e una delibera di annullamento del Piano con effetto retroattivo dal 2003. Cancellare tutto, ICI compresa. Si sarà perso tempo, il che non è poco, ma almeno al danno non si aggiungerà la beffa.

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