A Castelnuovo di Porto c’e’ uno dei maggiori C.A.R.A. (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo). Ne ha scritto, quando fu istituito, Loretta Peschi, in questo articolo intitolato “742”, dal numero degli ospiti del Centro. Oggi, a un anno di distanza, un’altra testimonianza sullo stesso argomento, da parte una delle operatrici del Centro, tratta da “Il Manifesto” del 22/7/09.
La mia esperienza in un Centro di accoglienza
di Marie-Hélène Canale
Qualche mese fa, sono venuta a conoscenza dell’esistenza del Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo Politico, a pochi chilometri da Castelnuovo di Porto, dove abito. Qui, alle porte della grande città vengono trasferiti quelli che persone eminenti trattano da criminali e da reclute del terrorismo. Vorrei cercare con questo mio modesto contributo di ristabilire la verità .
Sono francese e così, ho proposto nell’ambito della mia collaborazione con l’Associazione “Forum di Mediazione Interculturale”, di animare un Laboratorio di Scrittura e di Lettura con i francofoni.
Mettendomi per un attimo nei panni di questi ragazzi così giovani, che vengono da sofferenze disumane e che cercano solo di poter vivere normalmente mandando un po’ di soldi a casa (come hanno fatto tanti italiani all’estero prima di loro), mi è sembrata una cosa ovvia di andar loro incontro, conoscerli e tramite il dialogo e il racconto delle loro esperienze, alleviare anche un po’ la loro permanenza in quel posto con un’attività creativa in una lingua che conoscono molto bene. Poteva dare un senso all’attesa, essere anche l’occasione di una riflessione sul proprio destino.
Questa attività di volontariato consiste nel portare dei giornali e delle riviste in francese, degli articoli presi da Internet dai quotidiani dei paesi di origine, dei libri che stanno sicuramente meglio nelle loro mani piuttosto che inutilizzati sullo scaffale di una libreria a casa. Una volta letti i libri dovrebbero circolare, quella è la loro vocazione.
Ma siamo anche diventati amici e questa è la cosa più bella che va ben oltre la mera soddisfazione di “dare una mano”. Conoscere delle persone così brave, sensibili e coraggiose è stata la cosa più interessante che mi sia capitata ultimamente, persone che hanno rischiato la vita per venire qui, che si sono completamente messe in gioco, che hanno nel cuore la separazione dalle famiglie rimaste giù e che vogliono ad ogni costo aiutare. Sono portatori di valori forti, sorretti da una fede incrollabile e li ammiro molto quando vedo con quale dignità sopportano le avversità delle loro vite.
Adesso che è in vacanza, ci porto anche mio figlio di 9 anni che lì ha fatto amicizia con un bambino proveniente dal Congo, fuggito ai violenti scontri nel suo paese e che è felice di giocare con lui. Sono esperienze importanti, sono promesse di un mondo senza razzismo che in fondo non è dettato da nient’altro che dalla paura dell’altro.
Questa esperienza mi ha anche confermato che quando si fa una cosa con passione, i frutti ricevuti e i legami che si creano sono innumerevoli: nuovi orizzonti, nuove prospettive di vita, nuove amicizie, tutte cose inestimabili e non scontate per niente nelle nostre vite così organizzate. Ho due figli e lavoro a tempo pieno e non pensavo “di aver tempo” per le cose che non siano strettamente necessarie, ma da quando vado lì, il tempo si è come allargato. La mia passione per la letteratura, finora unicamente personale, mi ha portato ad uno scambio di una ricchezza insospettabile. In fondo nella loro situazione così disagiata, venivo a parlargli del superfluo, senza il quale certo si può vivere, ma senza il quale uno si sente più debole, più ignorato, più solo, più vulnerabile. Sono venuta per dirgli l’importanza delle parole: quelle della dignità di essere quello che si è, quelle dell’informazione, quelle di una lingua comune per il bene e per il male, quelle di una riflessione sul loro progetto di vita, quelle del dolore e della speranza, quelle del ricordo e quelle dell’avvenire, quelle della paura e quelle del conforto, quelle che fanno riflettere, che ci fanno crescere, quelle che ci parlano d’amore, quelle che feriscono, quelle che ci ispirano e ci guidano, quelle che custodiamo nel cuore e che diventano la nostra forza, alle quali ci aggrappiamo e che ci portano sulle loro spalle per impedirci di affondare, quelle che uno aspettava.
In qualche modo ho portato quello che i nostri paesi hanno di meglio da offrire: sono tutti presenti, in fila indiana a farci l’occhiolino per farsi notare: Candide che caracolla nella sua epoca movimentata alla ricerca del suo giardino da coltivare, e poi l’altro alla ricerca del tempo perduto, e ancora i poeti di casa loro e di casa nostra, gli universali, i pensatori, le icone, i conosciuti e gli sconosciuti, i classici, gli immensi gli “incontournables” della storia del pensiero nero: Aimé Césaire, Thomas Sankara, Martin Luther King certi testi ridanno qualche speranza e fanno brillare lo sguardo. Fanno compagnia, tengono per mano, sono più vivi di noi, attraversano i secoli e i continenti per venirci a trovare, allora quando ci parlano, una sala anonima tra un’autostrada e una squallida periferia si trasformano in un tempio sacro. Cavolo se questi qui non avessero scritto queste cose, non staremo ancora a leccarci le ferite con le loro parole, hanno qualcosa da dirci, ascoltiamoli!
Ma sono venuta anche per dargli la parola, a loro, i dannati della terra, i respinti, i capri espiatori, sulla pelle dei quali si prende qualche manciata di voti alle elezioni
La parola è importante, sorprendente, liberatori, ammagliante, zampillante. Viene da lontano come loro. Non hanno avuto paura, l’hanno presa, hanno raccontato le loro storie, i loro ricordi, i loro grida di sofferenza per un continente dal quale hanno dovuto fuggire e dove sperano di ritornare.
Nel suo bellissimo libro di poesie “Solo andata” Erri De Luca inventa dei racconti di migranti, e diventa la voce immaginaria di una “materia umana ancora muta”, proprio perché non avevano ancora consegnato a nessuno le loro testimonianze. La buona notizia è che cominciano ad arrivare, in una lingua molto pura, colorata e piena di immagini. Altri, come me, le stanno raccogliendo e le fanno conoscere, le diffondono per far sapere chi sono veramente questi giovani uomini che fanno tanta paura all’occidente.
Ultimamente un incredibile signore pugliese di nome Marcello e grande raccoglitore di origano selvatico, mi ha spiegato che si era fatto la sua casetta di Otranto con i soldi guadagnati durante le stagioni per la raccolta della barbabietola in Francia negli anni sessanta Fortunatamente per lui, all’epoca era libero di circolare, non è stato espulso come clandestino e non è finito in qualche prigione per il solo fatto di aver emigrato. Il suo bel sorriso, con i pochi denti rimasti all’appello, è quello che vorrei vedere fra qualche decennio stampato sul viso simpatico di Idrissa, Thierno, Seiba, Guylain et Assane, davanti alla loro casa di Ouagadougou, Kinshasa, Conakry o Abidjan.
Coraggio ragazzi, sarà molto più dura, ma spero per voi che, in gamba come siete, ce la farete anche voi, come Marcello a suo tempo.