Pubblico, da “L’Espresso” di questa settimana, una inchiesta sui ripetitori elettromagnetici che riguarda tutta l’Italia ma particolarmente riferibile a Castelnuovo di Porto (foto).
Magari fossero soltanto brutte e si limitassero a sfregiare il paesaggio. No, quel grappolo di antenne piantate tra i monti della Valtellina, in mezzo alle case dove le famiglie lombarde si rifugiano nel weekend in cerca di aria sana, è anche fuorilegge. Perché ritenuta dalla legge italiana una potenziale minaccia per la salute. Di sicuro, la concentrazione di impianti usati da radio e tv e di ripetitori dei telefoni a Poira, nel comune di Civo, eccede i limiti imposti dallo Stato. Le emissioni elettromagnetiche sono tre volte sopra il tetto massimo previsto per i centri abitati. Ma è dagli anni Settanta che quei tralicci vengono contestati e nonostante i risultati scientifici che provano la loro illegalità, continuano a trasmettere, ignorando ultimatum, intimazioni legali e proteste popolari.
Il dramma è che il problema non riguarda solo Poira: l’Italia delle onde selvagge parte dalle Alpi e arriva fino al canale di Sicilia, in una situazione dove le antenne si moltiplicano e invece i controlli diminuiscono. Paure ignorate Eppure l’elettromagnetismo fa sempre più paura: dopo i greci e i ciprioti, gli italiani sono il popolo più preoccupato d’Europa e quello che ha meno fiducia nell’azione delle autorità. Secondo il sondaggio Eurobarometro 2007, il 68 per cento dei cittadini chiede più tutela. E anche se non ci sono risposte mediche certe sugli effetti sulla salute tutti i governi però stanno prendendo misure precauzionali. In Italia l’allarme è bipartisan e dovrebbe raccogliere larghe intese: destra e sinistra sostengono di volerlo combattere. Il tetto di 6 volt per metro introdotto dalla legge del 2001 viene già giudicato insufficiente da molti esperti e persino da alcune amministrazioni locali, senza che le denunce si trasformino in atti concreti. Perché nel nostro Paese oggi regna l’elettrocaos: nessuno sa quante emissioni assorba in media un cittadino, quanto le reti wireless stiano infilando impulsi nelle nostre case e quali conseguenze provochi l’esposizione a tante onde simultaneamente.
A livello di governo non esiste nessuna “mappa elettromagnetica” della Penisola per orientare le scelte strategiche. Anzi, chi viola le norme evita di sanare le antenne e continua impunito a sparare emissioni per anni; chi vuole piantare nuovi ripetitori invece può sfruttare i buchi nel censimento delle radiazioni e mandare onda su onda. Un’invasione dell’etere quasi sempre senza vigilanza. L’Apat, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici che fa capo al ministero dell’Ambiente, cerca di sorvegliare la sterminata foresta di antenne. Ma è una missione quasi impossibile. Tra il 2003 e il 2006, data dell’ultima panoramica globale, c’è stato un aumento del 23,4 per cento degli impianti radiotelevisivi e di un più 50 per cento per le stazioni radio base per la telefonia mobile. Invece il numero di test per stabilire potenza e leicità di queste emissioni è rimasto uguale, con un calo sensibile nelle verifiche sui cellulari condotte dalle Agenzie regionali: quasi il 3 per cento in meno che, se confrontato con la crescita esponenziale dei ripetitori, fa capire perché l’Italia stia diventando il far west dell’elettrosmog. Senza protezione Le Agenzie regionali per l’ambiente sono sempre più in affanno anche nel fornire i pareri preventivi per l’in l’installazione di nuovi impianti, privando così della minima protezione i residenti. Nel 2006, rispetto a due anni prima, ne avevano dati 8,9 per cento in meno per i ripetitori dei cellulari e solo più 4,2 per cento per le antenne radiotelevisive. L’elettrocaos non solo impedisce di fare ordine nell’etere e pianificare il futuro delle emissioni, ma rende sostanzialmente impossibile la bonifica delle centrali pirata. La classifica dei fuorilegge dell’etere vede al primo posto i ripetitori che trasmettono programmi radio e televisivi ignorando il limite di 6 volt al metro per le zone residenziali. In tutta Italia, tra il ’99 e il 2006 l’Apat ne ha contate 458. E non solo in piccole località come Poira, ma anche a Torino, Bologna e Roma e in altre grandi città.
Ancora oggi a Milano, ad esempio, nella zona del grattacielo Breda le onde elettromagnetiche provenienti dalle antenne di alcune emittenti come Radio Company, Radio Italia, Radio 105 o Radio Super Hit superano il tetto imposto dalla legge. Una violazione accertata nel gennaio 2001 e non ancora sanata. Non sono i soli: il 54 per cento di tutti gli “inquinatori” ignora gli ultimatum e va avanti con le trasmissioni. Ma tutti sanno che in realtà le sorgenti di onde clandestine sono molte di più. La mappa nazionale infatti è piena di buchi, perché le agenzie regionali non fanno quasi mai controlli a tappeto. Ci sono poi territori che sfuggono a ogni censimento. Di Campania e Calabria non si sa nulla, poiché dal 1999 non hanno fornito dati all’Agenzia nazionale. Perché? “L’espresso” ha chiesto invano informazioni all’Arpa campana, dove nessuno dei dirigenti – sebbene ci abbiano assicurato che i controlli vengono regolarmente effettuati – è stato in grado di fornirci i dati e spiegare le ragioni del silenzio decennale nella trasmissione del bollettino al ministero.
Se in questo etere selvaggio diventa impossibile capire le condizioni presenti, quante emissioni si accavallino in un sito e con che rischi per la cittadinanza, immaginate quanto sia complesso fare ipotesi sul futuro. Il wireless, parola d’ordine dei prossimi anni, è entrato pesantemente sul mercato, ma nessuno ha saputo valutare gli effetti per l’organismo dell’immersione perenne nelle onde. In questi casi dovrebbe valere il principio di precauzione: se ancora non si conoscono gli effetti sulla salute di un determinato fattore, meglio che lo si tenga sotto controllo. In Francia, Germania e Gran Bretagna si sono già mossi, limitando la diffusione delle reti wireless in alcuni edifici pubblici, come quelli che ospitano scuole e asili. Antenne al Tar Ma in Italia non è così. Anche perché le leggi e i loro decreti attuativi, seppur presenti, lasciano troppo spazio all’interpretazione delle amministrazioni regionali e comunali. La norma a cui fare riferimento è la legge 36 approvata sette anni fa, all’inizio del 2001, quando presidente del Consiglio era Giuliano Amato (il ministro dell’Ambiente Willer Bordon) e poco prima delle elezioni che diedero vita al secondo governo Berlusconi.
Come gran parte delle leggi, però, anche la 36/2001 stabiliva soltanto dei principi generali. Per capire, per esempio, quali fossero i limiti per le emissioni, bisognava aspettare i decreti attuativi. Che, con la solita velocità della pubblica amministrazione italiana, arrivavano due anni e mezzo dopo, nell’estate del 2003. Questi decreti stabiliscono che l’intensità del campo elettrico non debba superare i 6 volt per metro nelle zone residenziali e ovunque ci sia un’esposizione giornaliera delle persone superiore a quattro ore (il limite sale per determinati ambienti di lavoro e industriali, dove si tollerano intensità fino a 20 volt per metro). Nel 2003, quindi, molti impianti sono diventati fuorilegge. E non sono bastati neanche i 24 mesi concessi ai gestori delle sorgenti sorgenti per sanare la propria posizione. Per alcuni di questi il risanamento è stato programmato o è in corso. Ma per molti altri la situazione è bloccata. “Per esempio nella zona di San Silvestro, in provincia di Pescara, ci sono degli impianti radiotelevisivi, fra cui una stazione della Rai, che superano i limiti imposti dalla legge”, spiega Salvatore Curcuruto, responsabile del servizio agenti fisici dell’Apat: “Al momento, però, non è stata trovata la soluzione per abbassare queste emissioni”.
Il caso di San Silvestro mette in luce la macchina contorta delle autorizzazioni (presenti e passate) necessarie per piazzare sul territorio una fonte di onde elettromagnetiche. Poniamo infatti il caso di una radio o di una televisione nata negli anni precedenti il 2000. Prima di posizionare le sue antenne avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione al ministero delle Comunicazioni Comunicazioni per ottenere una frequenza libera, impegnandosi a garantire le tramissioni in una certa area. Nessuno si preoccupava dell’elettrosmog. Quando è arrivata la nuova legge, numerosi impianti sono apparsi subito irregolari. A quel punto però la situazione è diventata paradossale. Per rispettare i limiti dovevano ridurre le emissioni, ma così avrebbero smesso di offrire la copertura garantita al ministero delle Comunicazioni. Ogni antenna si è trasformata in una calamita di ricorsi al Tar e di perizie. Uno dei contenziosi più aspri riguarda Radio Maria, l’onnipresente emittente religiosa, che in alcuni comuni della Lombardia ha abbassato i suoi limiti fuorilegge solamente pochi mesi fa.
Ma non è che ora abbia completamente sanato tutte le sue emissioni. Proprio a Poira o nel comune di Mantova la “voce cristiana nella tua casa” (è il claim di Radio Maria) supera attualmente i 6 volt al metro. Quel che si dice predicare bene e emettere male. Non solo Lombardia, comunque. Anche nelle province dell’Emilia Romagna, per esempio, ci sono ancora 44 siti che resistono alla bonifica. Molti sono lontani dalle città ma per altri non è così: tra i record, si segnalano le 19 sorgenti di onde elettromagnetiche di via Verdi a Parma. Vanno traslocate lontano dal cuore della città ducale, ma per ora l’onda proibita resta immobile. L’Emilia Romagna è insieme al Veneto e alla Lombardia la regione che ha registrato il maggior numero di stazioni radiotelevisive non a norma. Dal 1999 al 2006 le tre Arpa hanno infatti rispettivamente trovato 74, 66 e 60 impianti da sanare, grazie soprattutto a un maggiore impegno nei test. Per i telefonini, invece, i problemi più gravi vengono captati a Sud. Pur avendo solo dati parziali della regione, la Sicilia risulta al primo posto di questa classifica con 21 casi di superamento, solamente quattro dei quali sanati. Nonostante questo, l’Arpa siciliana segnala un calo dei controlli: “Sono diminuiti quelli presso le stazioni radio base per la telefonia cellulare”.
Ma se le verifiche e i pareri preventivi (spesso realizzati con simulazioni al computer prima che l’impianto venga realizzato) latitano, non è sempre colpa delle Agenzie regionali. Anzi. “Alcune volte”, continua Curcuruto, “le agenzie regionali non vengono coinvolte in maniera preventiva. Il motivo? Molti amministratori locali credono di conoscere meglio il territorio e autorizzano una stazione radio base senza sentire le Arpa”. Un altro aspetto critico riguarda la cadenza dei monitoraggi. “Anche se effettuiamo tantissime rilevazioni, non esiste un programma organizzato per controllare tutte le sorgenti di onde elettromagnetiche “, afferma Angela Alberici, responsabile Agenti fisici ed energia dell’Arpa Lombardia che nel 2006 ha effettuato quasi 750 rilevazioni fra pareri preventivi e controlli sulle stazioni radiotv. Insomma, nelle regioni si va avanti in ordine sparso.
Ma a Roma le cose stanno ancora peggio. La legge del 2001 affidava allo Stato il compito di istituire il “catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e delle zone territoriali interessate “. Doveva nascere “entro 120 giorni”, invece sono passati sette anni e del catasto non c’è traccia. L’elettrocaos regna sovrano, mentre le antenne crescono felici e impunite. E pensare che la soglia dei 6 volt/metro ormai appare inutile per proteggere i cittadini. Si pensa di dimezzarla a 3 volt o addirittura a 0,5 volt, espellendo ogni emittente dai luoghi frequentati dai bambini come asili, scuole, parchi. Un’utopia che la regione Toscana ha fatto sua con una delibera già nel 2002, salvo poi non renderla pienamente esecutiva. Perché l’etere pullula di buoni propositi rimasti sospesi in aria. Come quello di destinare metà dei fondi incassati dallo Stato con le licenze Umts per combattere l’elettrosmog: iniziativa voluta dal primo governo Berlusconi e poi smarrita nell’alto dei cieli.
(Federico Ferrazza)